Sono passati meno di vent’anni, da quando i referendum di Mario Segni, con percentuali bulgare, stabilirono che – per cambiare – l’Italia doveva darsi un sistema elettorale a collegi uninominali, ed eliminare il voto di preferenza dalle elezioni politiche.
Forse c’era la tipica esagerazione italiana, quella per cui molti fascisti diventarono improvvisamente anti-fascisti appena caduto il regime. Certo è, però, che il sistema proporzionale con il voto di preferenza aveva determinato due gravi difetti della Prima Repubblica: il primo era che alle elezioni non vinceva e non perdeva mai nessuno, e quindi erano i partiti che dovevano poi mettersi al tavolo e stabilire chi guidava il governo e con quali coalizioni; il secondo limite era dovuto al fatto che, per conquistare i voti di preferenza in collegi molto ampi (a quei tempi, per capirci, i parlamentari milanesi erano eletti in un collegio che comprendeva le attuali province di Milano, Monza, Lodi e Pavia), bisognava spendere veramente tanti soldi, non solo durante la campagna elettorale, ma anche per mantenere delle gigantesche macchine di consenso. Questo sistema, indubbiamente, favoriva la spesa pubblica incontrollata – che ha determinato il terzo debito pubblico del mondo – e poi incoraggiava anche il clientelismo e le infiltrazioni mafiose.
Adesso si vuole assolutamente confondere un’autentica porcheria – non a caso denominata porcellum dal suo stesso inventtore Calderoli – cioè l’attuale legge che consente di nominare direttamente i deputati e i senatori per volontà dei capi-partito, con i sistemi maggioritari vigenti nei principali Paesi di democrazia occidentale.
Le preferenze, per altro, non sono un elemento negativo a priori: per eleggere un consiglio di circoscrizione o un consiglio comunale, sono un ottimo metodo, che consente agli elettori di scegliere le persone e di poterle tirare per la giacchetta quando hanno bisogno di relazionarsi con le loro rappresentanze istituzionali. Diventano problemi quando sono applicate a collegi molto ampi – tipo le regionali o le europee – perché, per contattare milioni di elettori – i candidati devo mettere mano al portafoglio eccessivamente.
Le preferenze – come si capisce – non sono dunque il cuore del problema, anche se in queste settimane sembra che tutta la discussione sulla legge elettorale verta su questo punto. Il problema vero è avere un sistema istituzionale in cui, la sera delle elezioni, tutti gli italiani sappiano chi li governa per cinque anni; avere anche un sistema elettorale che obblighi i partiti a presentare persone per bene; e infine avere una legge elettorale che favorisca le aggregazioni per governare, e non tutti i movimenti estremisti e radicali che nei momenti di crisi sfruttano il semplice malcontento.
Purtroppo, al momento, i parlamentari stanno solo ragionando su quale legge dia loro più chance di sopravvivere, e gli strateghi dei partiti si stanno scervellando per capire come fare a impedire che qualcuno vinca le prossime elezioni. Solo i cretini, a questo punto, se la possono prendere con Moody’s.
Fabrizio De Pasquale
Archivio di luglio 2012
Il problema dell’italia è la miopia della politica, non Moody’s
sabato, 28 luglio 2012
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